mercoledì 22 maggio 2024

VITA IN TRINCEA

 


L’acre odore dei lacrimogeni mi era entrato prepotentemente dentro ai polmoni originando una tosse quasi convulsa provocata dal bruciore che mi stava togliendo il fiato. Gli occhi, che immaginavo irti di piccole linee sanguigne che solcavano il bianco delle pupille, avevano iniziato a lacrimare.

A tracolla avevo la fida borsa di Tolfa dove, oltre ad un pacchetto di MS e i cerini, erano custoditi vari altri oggetti tra i quali una biro, un pennarello Pentel Pen di colore rosso, una catena di bicicletta sulla quale avevo legato una sorta di impugnatura di cuoio per poterla afferrare per farla roteare. Le due molotov, preparate nel pomeriggio precedente alla manifestazione utilizzando le tipiche bottiglie della birra Peroni, erano avvolte nella mia lunga sciarpa nera che aveva il compito di proteggerle da eventuali urti.

Mi trovavo in una di quelle manifestazioni che incominciano con un classico corteo dove tutti i gruppi extraparlamentari litigano per stare alla loro testa e dove nessuno ama restare relegato alla fine del serpentone a stretto contatto con i mezzi della celere pronti a caricare in caso di scontri.

Non ero molto lontano da dove vivevo con i miei, dal momento che la manifestazione aveva in Piazzale Clodio, sede del Tribunale Penale, il punto di concentrazione delle migliaia di compagni che protestavano contro il processo a tre componenti di Potere Operaio, Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo arrestati con l’accusa di aver dato fuoco al portoncino d’ingresso dell’allora segretario della sezione di Primavalle del MSI causando la morte di due suoi figli che non ebbero modo di fuggire dalle fiamme.

Era il 24 febbraio del 1975 e, come tanti compagni della sinistra extraparlamentare, stavo manifestando ben sapendo che quel giorno ci sarebbero stati degli scontri molto violenti.

Se da una parte c’eravamo noi a dare sostegno ai compagni arrestati, dall’altra c’erano i fascisti delle sezioni di Monte Mario, Primavalle, Ottaviano, Balduina, Vigna Clara, Sommacampagna e via dicendo, che volevano testimoniare la vicinanza al padre dei due ragazzi morti.

In mezzo, più o meno come sempre, corpi di celerini e di carabinieri in tenuta di battaglia con il compito di evitare che fasci e compagni si confrontassero in scontri sanguinosi e messi in preventivo.

Ovviamente come avveniva in quei casi, è difficile dire chi incominciò per primo. Fatto sta che si accese la miccia.

UNA VITA IN BIANCO E NERO

 



So esattamente che sono malato di nostalgia. Ma non quella ‘canaglia’ cantata da Albano e Romina, ma quella che spesso maledice il tempo che passa inesorabile e crudele. Quel bastardo elemento che mi ha privato prima della fanciullezza, poi della pubertà, infine della giovinezza.
Mi ritrovo ad aver oltrepassato i 66 e sempre di più si riaffacciano ricordi di persone che non ci sono più e di epoche oramai smarrite per sempre.
E’ come se sentissi il leif motiv del pianoforte di Lelio Luttazzi che suona ‘Vecchia America’ facendomi rivivere un tempo dove l’unico canale televisivo era ben delineato da un palinsesto immobile che prevedeva il film al lunedì, lo sport il mercoledì, il quiz il giovedì, l’approfondimento il venerdì e il varietà il sabato sera. Quella tv che si doveva accendere prima aprendo il condensatore e, una volta riscaldato, girare la manopola per azionare la scatola magica che iniziava a trasmettere non prima delle 17 la tv dei ragazzi…’Giovanna la nonna del corsaro nero’ con il mozzo Nicolino, ‘Chi sa chi lo sa’di Febo Conti, ‘I forti di forte Coraggio’ con Rin tin tin come star e via dicendo.
Erano gli anni sessanta che videro l’arrivo della Nutella che veniva venduta a dentro delle scatoline monoporzione che prevedevano un cucchiaino di plastica per spalmarla sul pane; la carne Simmenthal che si apriva con la chiavetta che spesso si rompeva lasciandoti di stucco senza sapere come risolvere il problema che ti si era creato; le bustine di Idrolitina che mettevi dentro la bottiglia riempita di acqua del rubinetto per avere l’illusione di bere una più preziosa acqua minerale ma con lo scopo di non sentire il cloro che imperava per eliminare i microbi; i pupazzi gonfiabili che vincevi raccogliendo i punti di formaggi e dadi per il brodo e che, soffiandoci dentro si trasformavano nella mucca Carolina o Susanna tutta panna ma anche Riccardone e Svanitella, attori di Caroselli che erano veri e propri film d’autore se paragonati con gli spot di oggi. Erano i sessanta che un rampante Gianni Minà avrebbe magnificato vent’anni più tardi quelli che si ascoltavano alla radio rigorosamente a transistor giapponese e che emanava le note di un giovane Giorgio Gaber ancora non alle prese con il suo ‘signor G’ cantare di Cerutti Gino e di una Milano nebbiosa dove anche la malavita era quasi onesta; oppure un raro Bindi con il suo ‘Concerto’.
Anni nei quali viveva il Natale dei bar allestiti a festa con piramidi di panettoni Motta o Alemagna e torroni e Panforti che si confondevano con il profumo del caffè appena fatto.
Erano gli anni dove la benzina costava quasi nulla e non esistevano gli autovelox. Le auto erano dotate del deflettore che oggi è solo un ricordo. E dove per un viaggio di pochi chilometri ci si attrezzava con tanto di cartina stradale comprata alla stazione di rifornimento dal momento che il GPS era tutto da venire ed i Tomtom non erano neppure nella nostra immaginazione.
Per gli amanti, il calcio lo si giocava solo di domenica e si attendevano i risultati incollati alla radiolina, aggiornandosi con ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ sperando che la squadra del cuore, avesse vinto. Un tempo nel quale non c’erano le finanziarie, ne gli home banking e per comprare qualcosa a rate vedevi i tuoi genitori firmare una sequenza infinita di solide cambiali che amorevolmente loro chiamavano ‘farfalle’. Sapevi bene che c’erano i partiti politici che erano connessi con gli ideali e i fronti erano esattamente delineati e non c’era ne confusione e neppure il disfattismo imperante di oggi anche se i politici sicuramente erano privilegiati e ben corrotti dal potere per il quale lavoravano.
C’era meno delinquenza e c’era la speranza: tutti potevano sognare il primo premio della lotteria Italia oppure di centrale il 13 al totocalcio. C’era chi duramente emigrava da un povero e degradato sud verso il nord dove, comunque si sarebbe radicato anche a costo di sacrifici, lasciando la terra natia che avrebbe ritrovato solo andando in pensione oppure per le vacanze estive. Ma si lavorava e non ci si ammazzava per una cartella esattoriale di Equitalia. Si avevano degli obiettivi da raggiungere per migliorare il proprio tenore di vita e un capofamiglia da solo poteva mantenere moglie e due figli, risparmiando pure qualche lira che avrebbe trasformato in un buono fruttifero postale perché era meglio fare come la formichina. Era un Italia dell’essere e non dell’apparire e il Grande Fratello ed i talk show non potevano neppure essere supposti e se, per qualche rarissima combinazione, si veniva intervistati dalla tv, si arrossiva balbettando.

E dopo i sessanta ecco i settanta della contestazione dove si moriva sul selciato per un ideale. Si fumava erba per sentirsi alternativi. Si scappava di casa per sentirsi vivi ed utili a se stessi. Ma erano anche gli anni delle trasformazioni, delle prime radio libere e delle tv via cavo che davano un certo senso di indipendenza da un monopolio Rai che aveva evidenziato la suddivisione dell’informazione a favore dei partiti di sempre.
Le speranze del decennio precedente sfumavano un pochino per via dell’austerity dove cittadini entusiasti di faticare con bici o a piedi, si riappropriavano delle strade almeno un giorno alla settimana.
Appena in tempo per vivere i rampanti ottanta, gli anni da bere dove non essere yuppi era quasi un dramma. Anni d’oro per i magheggioni della politica che vivevano di soldi facili che facilmente distribuivano in una teoria di ruscelli che inondavano quasi tutta la popolazione che godeva di luce riflessa. Ecchissenefrega se poi qualcuno avrebbe subito le conseguenze qualche decennio dopo…nel frattempo si viaggiava in BMW, si andava in vacanza in Kenya oppure in Brasile, per essere e sentirsi edonisti a tutto spiano.

Se ne sono andati anche i novanta ed il nuovo millennio è incominciato con la paura del mille e non più mille e del bug tecnologico che non c’è stato. E da allora ne sono passati altri quattordici di anni…e come direbbe Vasco, ‘E stiamo ancora qui’ ma a leccarmi le ferite indelebili tra dolori di cuore e di testa e dove la ruga in più non è il problema che invece è rappresentato dall’appiattimento degli interessi e degli stimoli e di una mente che sempre più si sente estranea ad un mondo di social e gps, di cinguettii e profili che svelano pure quando e dove e come e cosa stai mangiando.
Vedo tristemente persone che si interfacciano solo in modo virtuale, con un click, con un twit, con una serie di pixel e rimpiango quando si prendeva l’autobus per andare dagli amici a fare casino, dividendosi una fotografia per la quale si era attesa una settimana prima di riaverla stampata dallo sviluppo…
Cartoline di altri tempi.
Di una vita in bianco e nero.



A riA   C'era il '72 e il progressive rock cercava un modo per emergere. Gruppi ai quali non interessava il grande pubblico ma solam...