So esattamente che sono malato di
nostalgia. Ma non quella ‘canaglia’ cantata da Albano e Romina,
ma quella che spesso maledice il tempo che passa inesorabile e
crudele. Quel bastardo elemento che mi ha privato prima della
fanciullezza, poi della pubertà, infine della giovinezza.
Mi
ritrovo ad aver oltrepassato i 66 e sempre di più si riaffacciano
ricordi di persone che non ci sono più e di epoche oramai smarrite
per sempre.
E’ come se sentissi il leif motiv del pianoforte di
Lelio Luttazzi che suona ‘Vecchia America’ facendomi rivivere un
tempo dove l’unico canale televisivo era ben delineato da un
palinsesto immobile che prevedeva il film al lunedì, lo sport il
mercoledì, il quiz il giovedì, l’approfondimento il venerdì e il
varietà il sabato sera. Quella tv che si doveva accendere prima
aprendo il condensatore e, una volta riscaldato, girare la manopola
per azionare la scatola magica che iniziava a trasmettere non prima
delle 17 la tv dei ragazzi…’Giovanna la nonna del corsaro nero’
con il mozzo Nicolino, ‘Chi sa chi lo sa’di Febo Conti, ‘I
forti di forte Coraggio’ con Rin tin tin come star e via dicendo.
Erano gli anni sessanta che videro l’arrivo della Nutella che
veniva venduta a dentro delle scatoline monoporzione che prevedevano
un cucchiaino di plastica per spalmarla sul pane; la carne Simmenthal
che si apriva con la chiavetta che spesso si rompeva lasciandoti di
stucco senza sapere come risolvere il problema che ti si era creato;
le bustine di Idrolitina che mettevi dentro la bottiglia riempita di
acqua del rubinetto per avere l’illusione di bere una più preziosa
acqua minerale ma con lo scopo di non sentire il cloro che imperava
per eliminare i microbi; i pupazzi gonfiabili che vincevi
raccogliendo i punti di formaggi e dadi per il brodo e che,
soffiandoci dentro si trasformavano nella mucca Carolina o Susanna
tutta panna ma anche Riccardone e Svanitella, attori di Caroselli che
erano veri e propri film d’autore se paragonati con gli spot di
oggi. Erano i sessanta che un rampante Gianni Minà avrebbe
magnificato vent’anni più tardi quelli che si ascoltavano alla
radio rigorosamente a transistor giapponese e che emanava le note di
un giovane Giorgio Gaber ancora non alle prese con il suo ‘signor
G’ cantare di Cerutti Gino e di una Milano nebbiosa dove anche la
malavita era quasi onesta; oppure un raro Bindi con il suo
‘Concerto’.
Anni nei quali viveva il Natale dei bar allestiti
a festa con piramidi di panettoni Motta o Alemagna e torroni e
Panforti che si confondevano con il profumo del caffè appena
fatto.
Erano gli anni dove la benzina costava quasi nulla e non
esistevano gli autovelox. Le auto erano dotate del deflettore che
oggi è solo un ricordo. E dove per un viaggio di pochi chilometri ci
si attrezzava con tanto di cartina stradale comprata alla stazione di
rifornimento dal momento che il GPS era tutto da venire ed i Tomtom
non erano neppure nella nostra immaginazione.
Per gli amanti, il
calcio lo si giocava solo di domenica e si attendevano i risultati
incollati alla radiolina, aggiornandosi con ‘Tutto il calcio minuto
per minuto’ sperando che la squadra del cuore, avesse vinto. Un
tempo nel quale non c’erano le finanziarie, ne gli home banking e
per comprare qualcosa a rate vedevi i tuoi genitori firmare una
sequenza infinita di solide cambiali che amorevolmente loro
chiamavano ‘farfalle’. Sapevi bene che c’erano i partiti
politici che erano connessi con gli ideali e i fronti erano
esattamente delineati e non c’era ne confusione e neppure il
disfattismo imperante di oggi anche se i politici sicuramente erano
privilegiati e ben corrotti dal potere per il quale lavoravano.
C’era
meno delinquenza e c’era la speranza: tutti potevano sognare il
primo premio della lotteria Italia oppure di centrale il 13 al
totocalcio. C’era chi duramente emigrava da un povero e degradato
sud verso il nord dove, comunque si sarebbe radicato anche a costo di
sacrifici, lasciando la terra natia che avrebbe ritrovato solo
andando in pensione oppure per le vacanze estive. Ma si lavorava e
non ci si ammazzava per una cartella esattoriale di Equitalia. Si
avevano degli obiettivi da raggiungere per migliorare il proprio
tenore di vita e un capofamiglia da solo poteva mantenere moglie e
due figli, risparmiando pure qualche lira che avrebbe trasformato in
un buono fruttifero postale perché era meglio fare come la
formichina. Era un Italia dell’essere e non dell’apparire e il
Grande Fratello ed i talk show non potevano neppure essere supposti e
se, per qualche rarissima combinazione, si veniva intervistati dalla
tv, si arrossiva balbettando.
E dopo i sessanta ecco i settanta della
contestazione dove si moriva sul selciato per un ideale. Si fumava
erba per sentirsi alternativi. Si scappava di casa per sentirsi vivi
ed utili a se stessi. Ma erano anche gli anni delle trasformazioni,
delle prime radio libere e delle tv via cavo che davano un certo
senso di indipendenza da un monopolio Rai che aveva evidenziato la
suddivisione dell’informazione a favore dei partiti di sempre.
Le
speranze del decennio precedente sfumavano un pochino per via
dell’austerity dove cittadini entusiasti di faticare con bici o a
piedi, si riappropriavano delle strade almeno un giorno alla
settimana.
Appena in tempo per vivere i rampanti ottanta, gli anni
da bere dove non essere yuppi era quasi un dramma. Anni d’oro per i
magheggioni della politica che vivevano di soldi facili che
facilmente distribuivano in una teoria di ruscelli che inondavano
quasi tutta la popolazione che godeva di luce riflessa.
Ecchissenefrega se poi qualcuno avrebbe subito le conseguenze qualche
decennio dopo…nel frattempo si viaggiava in BMW, si andava in
vacanza in Kenya oppure in Brasile, per essere e sentirsi edonisti a
tutto spiano.
Se ne sono andati anche i novanta ed il
nuovo millennio è incominciato con la paura del mille e non più
mille e del bug tecnologico che non c’è stato. E da allora ne sono
passati altri quattordici di anni…e come direbbe Vasco, ‘E stiamo
ancora qui’ ma a leccarmi le ferite indelebili tra dolori di cuore
e di testa e dove la ruga in più non è il problema che invece è
rappresentato dall’appiattimento degli interessi e degli stimoli e
di una mente che sempre più si sente estranea ad un mondo di social
e gps, di cinguettii e profili che svelano pure quando e dove e come
e cosa stai mangiando.
Vedo tristemente persone che si
interfacciano solo in modo virtuale, con un click, con un twit, con
una serie di pixel e rimpiango quando si prendeva l’autobus per
andare dagli amici a fare casino, dividendosi una fotografia per la
quale si era attesa una settimana prima di riaverla stampata dallo
sviluppo…
Cartoline di altri tempi.
Di una vita in bianco e
nero.

Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.