venerdì 2 novembre 2018

A volte mi piaceva paragonarla ad una  striscia d’asfalto da percorrere ancora.
Poi, neppure fosse il satori a Parigi di kerouakiana memoria, l’ho trasformata in una musica. A volte sgraziata, a volte dolce. In certi momenti impetuosa, altri lenta. A volte addirittura stonata…
La vita.
Premo i tasti di un ipotetico piano scordato e pieno di polvere che ho trovato in una vecchia soffitta di una casa disabitata.  Non so neppure se sto sognando o se è realtà, tanto sono confuso. Ma mi affanno sui tasti d’avorio ingiallito dal tempo, annaspando una melodia che non ricordo neppure tanto bene, retaggio di studi di musica fatti quando portavo i pantaloni corti ed i miei capelli avevano una bizzarra riga sulla destra da bravo bambino. Le ginocchia sbucciate ma pulite. Le unghie tagliate da una nonna premurosa. Profumo di saponetta Camay. Dietro di me, tanta gente venuta ad assistere ad un improbabile saggio musicale dove suonerò due volte semplici composizioni talmente elementari da apparire ridicole ma così violente da farmi battere forte il cuore per paura di non farle bene.
Rientro ora dal viaggio. I tasti sono solo nella mia mente. La musica non c’è più e forse non c’è mai stata. Non riesco a vedere nulla di quello che vorrei. E mi sale in mente una dolce nenia cilena, cantata da Mercedes Sosa che dice che ‘todo cambia’ e mi ci perdo dentro.
Un’altra volta, me ne vado via.

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