giovedì 31 agosto 2017

1973

Tuttoconcorsi affligge la mia vista ore, seguito da un posacenere, da un libro di tedesco, una tovaglia color corda fantasia, un altro posacenere, alcune caramelle ed alcuni depliant turistici di Monaco di Baviera. Come sottofondo ascolto un disco di Guccini. Oggi ho vissuto solo, come sempre. Accanto a me, sterili, c'erano Carlo ed Enrico. Le nostre solite discussioni dopo un film mi hanno stufato. Le stesse cose mi tornano alla mente. Le ascolto di nuovo. Non so perchè ma mi ricordo, ora, di quella telefonata di cinque ore che feci con Marina, tempo fa. Cinque ore di cose, fatti, ricordi, analisi, sensazioni, speranze. Cinque ore di ascolto, di partecipazione, d'euforia. Poi, il nulla, il vuoto, una gatta...forse. Vedo, parlo, ascolto, percepisco ma a cosa serve? Per rientrare nella logicità irrazionale del potere del sistema?
Anche questa giornata sta finendo. Mi chiedo cosa oggi io abbia fatto. Non trovo la risposta sperata. Certo che ne ho fatte di cose, oggi...ma, forse, non sono state quelle volute. Progetti, ambizioni, desideri che si confondono con la realtà ma, se pure l'attraversano, non la toccano. Mi ritrovo sempre qui, seduto davanti ad una macchina da scrivere, come ieri.
Tra poco tornerò nella mia casa. Sempre uguale la vita, passata tra una monotona realtà creativa e bloccata da una serie negativa di elucubrazioni personali. Come scusante non posso neppure basarmi sul fatto che conosca molta gente. No. Sono bloccato. Non riesco più a distaccarmi dal giro dei vecchi amici: tre o quattro. Gli altri non importano granché. Non riesco più a trovare quella fittizia espressività creativa e comunicativa, non so il perchè. Il tempo a mia disposizione è limitato: ancora quindici minuti forse prima di lasciare vagare i miei pensieri senza un filo logico conduttore. Il pacchetto di sigarette è sul tavolo vicino l'accendino...una lampada illumina i miei sguardi, le mie azioni. Il caldo di questa stanza mi opprime. Che vita.
Situazioni che si ripetono a distanza di tempo, uguali, simmetricamente rendono reversibile il detto che l'esperienza cambia la vita. L'unica vincitrice è la nostalgia: nostalgia di una musica, di certe situazioni. Nostalgia è abitudine. Situazioni senza ruoli precisi, ma con molti progetti -al limite metafisici- molte speranze, molte illusioni. Molte volte l'uomo individua -crede- nell'illusione una poliedrica annessione sessuale, anche se nella maggioranza dei casi è vero, ma come si fa ad essere sicuri di questo? Pensieri monotoni, no?!

1972-2

Ora la musica si diffonde nella mia camera, plasmandomi e dando corpo alle mie più profonde sensazioni. E' celestiale tutto ciò. Mi guardo intorno ed osservo le cose, i colori policromi degli oggetti. La mia piccola gattina è seduta vicino  a me, sul mio letto.E' meraviglioso il mondo degli animali...ripenso a Darwin.E' vivo in me il ricordo dei quadri di Corot. Paesaggi di pace, smorzati, apatici dov'è costante la presenza dell'uomo: contadini, villeggianti. Tutti hanno il loro ruolo ben preciso e distaccato dalle case. I colori sommergono la tela come la mia penna sopra il foglio.
Schede filmiche, bibliografiche, sono sparse nella mia mente. Ascolto dentro me una musica non definita che potrebbe essere un urlo, un guaito, chissà. Il posacenere è pieno di mozziconi che coprono una scritta pubblicitaria. Mi scopro proteso alla ricerca di una idea pensando che sia questa la maggiore preoccupazione ed invece mi accorgo che sto aspettando una telefonata.
Il telefono come ultima spiaggia. Tutto mi è  venuto a noi...lei, io, gli altri. Confesso che non ho vissuto.Mi accendo un'altra sigaretta attendendo la vita.

1972

Immerso nelle commedie di Ibsen camminavo, pensando alla illogicità del potere. Le mie discussioni con Mario rendevano impotente Marina a seguirci. Il potere me lo sentivo dentro, ne ero partecipe mio malgrado. Oppure, assistendo ad uno spettacolo sperimentale, mistificavo i suoni e le parole. Tutto si ricollegava alla dualità della vita. Ricordo molto bene quelle strette vie di Trastevere. Sento ancora l'eco dei passi, delle voci, dei rumori. Vedo ancora, i volti della gente che mi circondava, I semafori così luminosi regolamentavano il passaggio delle macchine. La sera mi avvolgeva nel suo candido manto. Vivevo! Lo sentivo...sentivo il mio cuore battere dentro al mio petto. vedevo le gambe che camminavano sulla strada. Vedevo i miei occhi che cercavano una risposta ai perchè della mia mente. Accesi un'altra sigaretta ed aspirai avidamente...meditai. 
Mi dissi che avrei potuto fare a meno di fumare, dissi che la mia mente poteva farlo. Dissi anche che il mio corpo non poteva rinunciare in quanto vittima di assuefazione. Trasportai il discorso della sigaretta a tutte le altre manifestazioni della vita. Si, noi potremo fare qualsiasi cosa al di fuori della società ma siamo assuefatti da certi moduli. Sganciarsi dal modulo prestabilito vuol dire essere libero; vuol dire accorgersi della solitudine; vuol dire essere 'diverso'.
La nostra società è troppo incatramata per rendersi conto di cosa stia facendo, di dove stia andando...alzai le spalle e continuai a camminare. Le vetrine dei negozi rapivano la mia attenzione. Insegne pubblicitarie, scritte al neon ebbero la meglio, a lungo andare, sui miei pensieri: fui facile preda del consumismo. Parlai ancora con il mio amico sul ruolo del potere, senza giungere ad un punto di incontro. Marina, intanto, era rapita dai suoi sogni, L'autobus mi ricondusse nei pressi della mia abitazione: ero finalmente arrivato. La mia casa mi apparve squallida, come sempre. Mi spogliai e mi misi subito a letto. Ero spossato, forse dai miei pensieri, dai miei sogni...chissà. Quella notte non sognai. 

La mattina mi colse presto. Uscii immediatamente e mi riversai sulla strada. Un altro giorno era passato, uno nuovo cominciava allora. Decisamente pensai alla positività del fatto. Che bello avere nuovi giorni a disposizione. Mi dette l'impressione di una fresca fonte, in un assolato pomeriggio d'estate. Poter bere avidamente e ristorarsi con calma e serenità. Ma i miei discorsi positivi sull'esistenza, si fermarono di colpo...vidi un cane steso sull'asfalto, morto. Un vertice di rumori riempì la mia mente. Sentii musiche, imprecazioni, distorsioni, voci, grida. Pensai alla continuità del discorso. Vidi volti, strade, colori, pensieri. Toccai le impressioni della gente schiacciata su di un tram. Vidi i colori euforici di un corteo di studenti: bandiere rosse, striscioni, profusione di luci ed apatia. Vidi dall'altra parte il muro della polizia. Vidi lacrimogeni, brutalità, miseria. Vidi gente terrorizzata correre ed inciampare. Sentii la mia gola seccarsi...mi mancava l'aria. Impazzito mi misi a correre, inciampai e mi rialzai faticosamente. Non so come, in quel momento, pensai a Guevara e vidi il suo fiero volto. Poi tutto scomparve. Mi ritrovai a via del Corso, ero di nuovo in vita. La gente guardava le vetrine senza immaginare cosa stava accadendo a pochi isolati di distanza. Quella non fu l'unica volta in cui pensai al probelam della comunicabilità. Altri motivi mi furono forniti da molti conoscenti in periodi differenti della mia vita.

Radici

Seduto davanti ad una macchina da scrivere mi appresto ad imprimere su questo foglio i miei pensieri, le mie azioni, i miei desideri da sempre delusi dalla vita. Esplode dentro me un grido inumano che è indescrivibile. E' un grido che vuole vivere, un grido che ama la vita, con il suo innato dualismo del sogno e della realtà. Senza ne vinti ne vincitori medito e vagheggio in un clima di pressapochismo intrinseco. La mia fantasia è facile preda delle mie elucubrazioni...ascolto ancora una volta un rumore...quello che mi ha distolto la mia attenzione dalla mia volontà. Un rumore dalla strada...un rumore dalla vita.
Lasciando da parte le nobili ed ataviche origini, mi trovo sperduto fra l'anonima gente. Gente che cammina, che si agita, che lotta, che vive in qualche modo la sua esistenza senza saperlo. E' triste vedere cose che occhi altrui non riescono a vedere. Ancora più triste comunicare con gente che crede, che 'sa'. Si apre un abisso tra me e loro. Si alza un muro, Si chiude una cella, Io e 'gli altri'. Ma chi sono 'gli altri'? Mi rispondo che è gente con i miei stessi problemi, forse alle prese con qualcuno più grave dei miei. Mi viene in mente la cambiale della macchina o dei mobili. Vedo grattacieli stagliarsi nei cieli infiniti. Vedo le mie speranze uguali a quelle di molti altri. Sono loro gli Dei di questa Società a volere questo. Cercare di dividere ciò che è nato unito. Mi accorgo della assurdità dei miei pensieri ma mi consolo poco dopo credendo che sia poesia. Poesia: un mondo per tutti senza barriere o divisioni. Armoniosamente premo dei tasti. E' la mia mente che germoglia il frutto dell'esistenza.
Un Kant giovanile mi corre incontro. I suoi problemi e quelli miei. Il dualismo si ripete. Vivere è possibilità di essere e, di conseguenza, anche quella di non essere. Io non sono.Nonostante tutto, il flusso negativistico della vita rifiorisce in me. O meglio: nel 'mio' personaggio. So di essere presuntuoso...un personaggio 'mio'? Poi mi correggo. Cado di nuovo nell'inferiorità: chi sono io per possedere un personaggio?Deluso ed amareggiato ricordo la tristissima  spiaggia di Pescare in quel tristissimo autunno di due anni fa. Il mare...io rivedevo la mia poesia, i miei amori...i miei castelli in aria. Ritraevo me stesso e solo me stesso nella spiaggia ondulata dal vento che, candidamente, mi soffiava in faccia le sue sentenze. Quelle emozioni le ritrovavo a Roma, in un soleggiato pomeriggio di inverno. Vedevo i cadenti raggi del sole attraverso le fessure di alcuni resti romani. Vedevo il significato della vita. Rivivevo i grandi fasti e gli splendori di un impero, vedevo i soldati, i pretoriani, le ancelle. Vedevo ori ed argenti. Piatti prelibati e banchetti sontuosi mi apparivano dinnanzi. Poi...poi ho visto le mura...vecchie, rotte, cadenti, senza alcuna importanza. Tutto intorno un'altra città, nuova, moderna, del XX secolo. Macchine, rumori, aerei, gente, gente, gente. Le vecchie mura romane non esistevano più. Non esisteva più il mio sogno.Aspettavo un autobus. Con 50 lire tornai a casa tra una cena vuota, un anonimo carosello ed il mio freddo letto.Pensai che dovevo sognare..."voglio sognare" mi dissi. Ricollegai ciò ai miei istinti. Desideravo che il sogno fosse realtà. Plasmare il sogno, plasmare la realtà. Non è così purtroppo. Mi consolai dicendomi che non si sa quello che potrà accadere. Ma questa scusante non mi servì. Pensai ad occhi aperti. Caddi nel dormiveglia. Era dolce quella sensazione....vidi i miei amori. Sempre infelici. Ma nel sogno mi apparvero veri...come li volevo io. Il mio senso di potere bevve quella notte e molte altre ancora, la felicità. Un senso armonico inscatolava dolcemente i miei pensieri. Al mattino, lo squallore mi riportava nella realtà quotidiana. L'agonismo non era fatto per me.Lasciai fare tutto agli altri, vedendomi sempre più schiavo dei miei sogni. Cercai la realtà in un pezzo di stagnola, rollando una cartina ed aspirando avidamente quel magico fumo. Durò un pò di tempo. Era una realtà fittizia, immaginaria. Davo forma ai miei pensieri sempre proteso alla ricerca di qualcosa di mio. Lo cercai avidamente ed ingenuamente come un bambino. La mia fonte di sapere e la mia curiosità ebbero per protagonista la cultura. Inizia a leggere. Divenni così una persona colta. Tenevo banco a discussioni politiche, sociali ed illuministiche. Sempre affamato mi riversavo sui libri, sulle riviste specializzate...il mio senso tecnocratico del sapere non era mai sazio, Partecipai moralmente e fisicamente ad incontri culturali, mostre, iniziative popolari e di elite. Ma a nulla era valsa la mia cultura. Continuai a sognare e a sperare. Superai molte crisi esistenziali. Retoricamente affermai che ero solo. Ero 'diverso'. Guardai con invidia ed odio la gente che mi circondava. Mi chiusi in me stesso. Mi domandai perchè gli altri erano diversi da me. Ai miei occhi apparivano tutti sereni, belli, razionali. Io sono non ero come loro. L'asocialità divenne da quel momento il mio punto forte. Scontrosamente lascia tutto e tutti. L'eremo del mio corpo era il mio cervello. Solo sulla mente basi tutto.Le sigarette che fumavo non erano di conforto, come neppure i film ai quali attivamente partecipavo come spettatore...I quattro o cinque amici che ancora frequentavo, mi venivano sempre più a noia. La stessa vita, le stesse cose, gli stessi discorsi. Ma la mia asocialità non fu totale come credevo. Rimasi ancora attaccato alle mie radici: Caddero però i rami ed i tronchi più grossi. RimaseGiorno dopo giorno vivevo vegetando nel mare di progetti per il futuro in mezzo alla falsità, al silenzio delle idee, alla filosofia.
Un senso mistico mi riconduceva alla vita alla scoperta del primo Bardo Thodol (libro tibetano dei morti) e l'infido Ginsberg. I miei primi incontri ravvicinati avvennero in un bar del centro di Roma. Ricordo che incontrai uno strano tizio. Era belga e si chiamava Marcel. Parlai con lui di moltissime cose sulla vita...per molti era un pazzo bucomane, per altri un ubriacone. Per me semplicemente una persona straordinaria. La sua poliedricità mi colpì a tal punto di credere che eravamo tutti pazzi. Tutti pazzi tranne lui.
Aveva completamente e logicamente ribaltato tutti i valori della vita. Era stupefacente come un essere potesse sapere così tanto. Cercai più volte, ingenuamente, di metterlo in imbarazzo di portarlo, cioè, ad un punto dal quale non potesse più rispondermi. Non fui capace di farlo...
La mia cultura contro la sua. Persi abbondantemente .  Mi consolavo bevendo birre giganti insieme a lui.
Trovai in quel bar uno dei tanti amori. Alta, slanciata, giovane.
Un bar, quello, che ha ancora un posto nel mio cuore.  Tutto sommato potrei retoricamente affermare è stata una bella e triste esperienza...
Vagheggio adesso in giro di ricordi, ansie, emozioni, per un puro senso di vanità.
solo il fusto e le radici...mi attaccai a cose vecchie come la cultura.

sabato 26 agosto 2017


Arrivato

Mi sento come giunto in un ambiente conosciuto dove, su di una vecchia scrivania di legno roso dai tarli che non si vergogna di mostrare le ingiurie del tempo, si trova una Lettera 22 con un foglio Extra Strong già inserito.
Il tempo di controllare lo stato del nastro inchiostrato dove la banda inferiore rossa è praticamente intonsa mentre quella superiore di color nero, evidenzia un consumo alquanto significativo che tuttavia permette ancora di scrivere.
Pigio il tasto 'f' per constatare il grado di durezza del meccanismo che pare funzionare anche se noto, tra le fessure verticali di dove è inserita la barra che porta alla lettera corrispondente, polvere mista a laniccia.
'Dovrò pulirla' penso tra me e me anche se in cuor mio so già che sono troppo pigro per azzardarmi con spazzolino rigido e panno per liberare dalla sporcizia i vari meccanismi.
Non è difficile intuire che i vari fogli scritti, presenteranno lettere marcate ed altre meno ma è questa la bellezza di una vera macchina da scrivere, dove l'imperfezione è il suo valore aggiunto.
Non più testi computerizzati e formattati dove tutto è lineare bensì la rudezza della sincerità di uno scritto che può denotare il nervosismo dello scrittore come la sua apatia.
Sono infine arrivato a destinazione. Ora tocca a me!

A riA   C'era il '72 e il progressive rock cercava un modo per emergere. Gruppi ai quali non interessava il grande pubblico ma solam...