giovedì 31 agosto 2017

Radici

Seduto davanti ad una macchina da scrivere mi appresto ad imprimere su questo foglio i miei pensieri, le mie azioni, i miei desideri da sempre delusi dalla vita. Esplode dentro me un grido inumano che è indescrivibile. E' un grido che vuole vivere, un grido che ama la vita, con il suo innato dualismo del sogno e della realtà. Senza ne vinti ne vincitori medito e vagheggio in un clima di pressapochismo intrinseco. La mia fantasia è facile preda delle mie elucubrazioni...ascolto ancora una volta un rumore...quello che mi ha distolto la mia attenzione dalla mia volontà. Un rumore dalla strada...un rumore dalla vita.
Lasciando da parte le nobili ed ataviche origini, mi trovo sperduto fra l'anonima gente. Gente che cammina, che si agita, che lotta, che vive in qualche modo la sua esistenza senza saperlo. E' triste vedere cose che occhi altrui non riescono a vedere. Ancora più triste comunicare con gente che crede, che 'sa'. Si apre un abisso tra me e loro. Si alza un muro, Si chiude una cella, Io e 'gli altri'. Ma chi sono 'gli altri'? Mi rispondo che è gente con i miei stessi problemi, forse alle prese con qualcuno più grave dei miei. Mi viene in mente la cambiale della macchina o dei mobili. Vedo grattacieli stagliarsi nei cieli infiniti. Vedo le mie speranze uguali a quelle di molti altri. Sono loro gli Dei di questa Società a volere questo. Cercare di dividere ciò che è nato unito. Mi accorgo della assurdità dei miei pensieri ma mi consolo poco dopo credendo che sia poesia. Poesia: un mondo per tutti senza barriere o divisioni. Armoniosamente premo dei tasti. E' la mia mente che germoglia il frutto dell'esistenza.
Un Kant giovanile mi corre incontro. I suoi problemi e quelli miei. Il dualismo si ripete. Vivere è possibilità di essere e, di conseguenza, anche quella di non essere. Io non sono.Nonostante tutto, il flusso negativistico della vita rifiorisce in me. O meglio: nel 'mio' personaggio. So di essere presuntuoso...un personaggio 'mio'? Poi mi correggo. Cado di nuovo nell'inferiorità: chi sono io per possedere un personaggio?Deluso ed amareggiato ricordo la tristissima  spiaggia di Pescare in quel tristissimo autunno di due anni fa. Il mare...io rivedevo la mia poesia, i miei amori...i miei castelli in aria. Ritraevo me stesso e solo me stesso nella spiaggia ondulata dal vento che, candidamente, mi soffiava in faccia le sue sentenze. Quelle emozioni le ritrovavo a Roma, in un soleggiato pomeriggio di inverno. Vedevo i cadenti raggi del sole attraverso le fessure di alcuni resti romani. Vedevo il significato della vita. Rivivevo i grandi fasti e gli splendori di un impero, vedevo i soldati, i pretoriani, le ancelle. Vedevo ori ed argenti. Piatti prelibati e banchetti sontuosi mi apparivano dinnanzi. Poi...poi ho visto le mura...vecchie, rotte, cadenti, senza alcuna importanza. Tutto intorno un'altra città, nuova, moderna, del XX secolo. Macchine, rumori, aerei, gente, gente, gente. Le vecchie mura romane non esistevano più. Non esisteva più il mio sogno.Aspettavo un autobus. Con 50 lire tornai a casa tra una cena vuota, un anonimo carosello ed il mio freddo letto.Pensai che dovevo sognare..."voglio sognare" mi dissi. Ricollegai ciò ai miei istinti. Desideravo che il sogno fosse realtà. Plasmare il sogno, plasmare la realtà. Non è così purtroppo. Mi consolai dicendomi che non si sa quello che potrà accadere. Ma questa scusante non mi servì. Pensai ad occhi aperti. Caddi nel dormiveglia. Era dolce quella sensazione....vidi i miei amori. Sempre infelici. Ma nel sogno mi apparvero veri...come li volevo io. Il mio senso di potere bevve quella notte e molte altre ancora, la felicità. Un senso armonico inscatolava dolcemente i miei pensieri. Al mattino, lo squallore mi riportava nella realtà quotidiana. L'agonismo non era fatto per me.Lasciai fare tutto agli altri, vedendomi sempre più schiavo dei miei sogni. Cercai la realtà in un pezzo di stagnola, rollando una cartina ed aspirando avidamente quel magico fumo. Durò un pò di tempo. Era una realtà fittizia, immaginaria. Davo forma ai miei pensieri sempre proteso alla ricerca di qualcosa di mio. Lo cercai avidamente ed ingenuamente come un bambino. La mia fonte di sapere e la mia curiosità ebbero per protagonista la cultura. Inizia a leggere. Divenni così una persona colta. Tenevo banco a discussioni politiche, sociali ed illuministiche. Sempre affamato mi riversavo sui libri, sulle riviste specializzate...il mio senso tecnocratico del sapere non era mai sazio, Partecipai moralmente e fisicamente ad incontri culturali, mostre, iniziative popolari e di elite. Ma a nulla era valsa la mia cultura. Continuai a sognare e a sperare. Superai molte crisi esistenziali. Retoricamente affermai che ero solo. Ero 'diverso'. Guardai con invidia ed odio la gente che mi circondava. Mi chiusi in me stesso. Mi domandai perchè gli altri erano diversi da me. Ai miei occhi apparivano tutti sereni, belli, razionali. Io sono non ero come loro. L'asocialità divenne da quel momento il mio punto forte. Scontrosamente lascia tutto e tutti. L'eremo del mio corpo era il mio cervello. Solo sulla mente basi tutto.Le sigarette che fumavo non erano di conforto, come neppure i film ai quali attivamente partecipavo come spettatore...I quattro o cinque amici che ancora frequentavo, mi venivano sempre più a noia. La stessa vita, le stesse cose, gli stessi discorsi. Ma la mia asocialità non fu totale come credevo. Rimasi ancora attaccato alle mie radici: Caddero però i rami ed i tronchi più grossi. RimaseGiorno dopo giorno vivevo vegetando nel mare di progetti per il futuro in mezzo alla falsità, al silenzio delle idee, alla filosofia.
Un senso mistico mi riconduceva alla vita alla scoperta del primo Bardo Thodol (libro tibetano dei morti) e l'infido Ginsberg. I miei primi incontri ravvicinati avvennero in un bar del centro di Roma. Ricordo che incontrai uno strano tizio. Era belga e si chiamava Marcel. Parlai con lui di moltissime cose sulla vita...per molti era un pazzo bucomane, per altri un ubriacone. Per me semplicemente una persona straordinaria. La sua poliedricità mi colpì a tal punto di credere che eravamo tutti pazzi. Tutti pazzi tranne lui.
Aveva completamente e logicamente ribaltato tutti i valori della vita. Era stupefacente come un essere potesse sapere così tanto. Cercai più volte, ingenuamente, di metterlo in imbarazzo di portarlo, cioè, ad un punto dal quale non potesse più rispondermi. Non fui capace di farlo...
La mia cultura contro la sua. Persi abbondantemente .  Mi consolavo bevendo birre giganti insieme a lui.
Trovai in quel bar uno dei tanti amori. Alta, slanciata, giovane.
Un bar, quello, che ha ancora un posto nel mio cuore.  Tutto sommato potrei retoricamente affermare è stata una bella e triste esperienza...
Vagheggio adesso in giro di ricordi, ansie, emozioni, per un puro senso di vanità.
solo il fusto e le radici...mi attaccai a cose vecchie come la cultura.

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